Secondo le conclusioni di uno studio pubblicato su Neurology: Clinical Practice, l’uso delle valutazioni cognitive brevi spesso non classifica in modo accurato i pazienti con demenza. «La diagnosi della malattia di Alzheimer e della demenza è complessa e proprio per questo gli strumenti di valutazione del deterioramento cognitivo sono imperfetti» afferma la prima autrice Janice Ranson della Scuola di medicina all’Università di Exeter, Regno Unito, che assieme ai colleghi ha esaminato i fattori predittivi di una errata classificazione della demenza da parte di tre valutazioni cognitive brevi: il Mini-Mental State Examination (MMSE), il Memory Impairment Screen e l’Animal Naming (AN). Analizzando 824 anziani nei quali era già stata posta diagnosi di demenza, i ricercatori hanno scoperto che il 35,7% dei partecipanti era stato classificato erroneamente da almeno una scala di valutazione, mentre l’1,7% dei partecipanti lo era stato con tutti e tre gli strumenti.
«I fattori predittivi di errata classificazione differiscono per ciascuna scala valutativa» precisano gli autori, spiegando che nel caso dell’MMSE il numero di anni di studio del paziente è in grado di predire elevati falsi negativi e bassi falsi positivi. Viceversa, con l’uso della scala AN la residenza in casa di cura implica una bassa percentuale di falsi negativi a fronte di falsi positivi più frequenti. «Altri fattori predittivi di un elevato numero di falsi positivi sono l’età e l’etnia non caucasica» riprende la ricercatrice. «Identificare in modo tempestivo le persone con demenza è di estrema importanza, specie a fronte del continuo sviluppo di nuovi trattamenti» commentano gli autori. E Ranson conclude: «Da questi risultati emerge la necessità di test cognitivi affidabili e di una migliore conoscenza di come interpretarli tenendo conto dell’età, dell’istruzione e di altri fattori. Questo è particolarmente vero per le valutazioni cognitive brevi che vengono spesso usate a scopo diagnostico in assenza di specialisti neurologi o geriatri».
Neurology: Clinical Practice 2018. Doi: 10.1212/CPJ.0000000000000566
http://cp.neurology.org/…/e…/2018/11/28/CPJ.0000000000000566